Durante la prima guerra mondiale

Aerei a motore furono usati per la prima volta in guerra nel 1911, dagli italiani contro i turchi vicino a Tripoli, ma fu solo con la Grande Guerra del 1914-18 che il loro uso divenne diffuso. All’inizio, gli aerei erano disarmati e impiegati per la ricognizione, servendo fondamentalmente come estensioni degli occhi del comandante di terra. Ben presto, tuttavia, la necessità di negare tale ricognizione al nemico portò al combattimento aria-aria in cui ogni parte cercava di ottenere la superiorità nell’aria. Gli aerei da combattimento erano armati con mitragliatrici fisse che permettevano al pilota di puntare tutto il suo aereo contro il nemico, e la portata effettiva di queste armi (non più di circa 200 metri) fece sì che i primi combattimenti aerei si svolgessero a brevissima distanza.

Entro il secondo anno di guerra emersero tattiche di combattimento da tutte le parti, enfatizzando concetti di base che, con modifiche, rimasero applicabili fino all’era dei jet. Il primo era l’attacco a sorpresa; fin dall’inizio della guerra aerea nella prima guerra mondiale, il “salto” o il “rimbalzo” di vittime ignare ha causato più uccisioni che la spettacolare acrobazia del dogfighting. Poiché l’unico sistema di avvertimento di un pilota era l’occhio nudo, i caccia attaccanti, quando possibile, si avvicinavano da dietro o si tuffavano fuori dal sole, dove non potevano essere visti. L’asso tedesco Max Immelmann, sfruttando le capacità superiori del suo Fokker Eindeker di salire e scendere in picchiata velocemente, aiutò ad espandere il combattimento aereo dalla dimensione orizzontale a quella verticale. Immelmann sviluppò quella che divenne nota come la virata di Immelmann, in cui un caccia attaccante passava in picchiata il velivolo nemico, si alzava bruscamente in una salita verticale fino a quando si trovava di nuovo sopra il bersaglio, poi girava bruscamente di lato e giù in modo da potersi immergere una seconda volta. I caccia operavano almeno in coppia, volando a 50-60 metri l’uno dall’altro, in modo che il gregario potesse proteggere le spalle del leader. La velocità di volo era in media di 100 miglia all’ora, e la comunicazione avveniva con segnali a mano, dondolando le ali e sparando razzi colorati.

Il ruolo successivo che emergeva per gli aerei militari era l’attacco al suolo, in cui gli aerei, mitragliando e lanciando bombe rudimentali, aiutavano un’avanzata a terra, coprivano una ritirata o semplicemente molestavano il nemico. Nelle ultime fasi della guerra, gli aerei da attacco al suolo avevano costretto quasi tutti i movimenti di truppe su larga scala ad essere eseguiti di notte o con il maltempo.

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Per la fine della guerra sorse una quarta visione del potere aereo: quella di una forza aerea indipendente che attaccava il nemico lontano dalle prime linee, con lo scopo di distruggere elementi essenziali della capacità bellica del nemico bombardando fabbriche, reti di trasporto e rifornimento, e persino centri di governo. Questo ruolo, mai efficacemente implementato nella prima guerra mondiale, fu stimolato in gran parte dagli attacchi aerei tedeschi su Londra. Eseguiti all’inizio da dirigibili zeppelin, i bombardamenti furono poi effettuati da aerei come il bombardiere Gotha, che, volando di notte e spesso fino a 20.000 piedi (costringendo l’equipaggio a respirare ossigeno in bottiglia attraverso un tubo nella bocca), operava oltre il soffitto di molti caccia difensivi.

Così, i ruoli fondamentali che gli aerei avrebbero svolto nella guerra moderna furono presagiti nella prima guerra mondiale: ricognizione, superiorità aerea, supporto tattico al suolo e bombardamento strategico.

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