DANTON, GEORGES-JACQUES (1759-1794), avvocato e rivoluzionario francese. Avendo così acquisito la sua bona fides rivoluzionaria come tribuno del movimento popolare parigino, cavalcò una potente ondata di radicalizzazione rivoluzionaria fino a raggiungere una posizione di sempre maggiore rilievo sulla scena politica nazionale fino ad emergere come il membro più influente del governo provvisorio istituito dopo la caduta della monarchia il 10 agosto 1792. Nel corso dell’anno successivo, come figura di spicco della Convenzione Nazionale (che proclamò la Prima Repubblica Francese il 20 settembre 1792) e membro chiave del primo Comitato di Sicurezza Pubblica di quel corpo, una tensione pragmatica e conciliante all’interno del suo temperamento venne alla ribalta mentre era alle prese con le responsabilità del potere e cercava di moderare e disinnescare una lotta sempre più velenosa tra le fazioni note alla storia come “giacobini” e “girondini”. Dopo l’epurazione dei Girondini del giugno 1793, tuttavia, il potere rivoluzionario gravitò verso il più coerentemente radicale e più ostentatamente virtuoso Maximilien-Francois-Marie Isidore de Robespierre (1758-1794), e Danton passò nelle file dell’opposizione politica. Preso di mira da Robespierre e dai suoi alleati nel secondo Comitato di Sicurezza Pubblica come leader di una fazione di “Indulgenti” che mirava a smantellare il Regno del Terrore allora in corso, Danton fu arrestato il 31 marzo 1794. Dopo un processo sommario sul quale il Comitato di governo esercitò un controllo quasi totale, fu ghigliottinato il 5 aprile 1794.

Immortalato in forma di statua all’ingresso della fermata Odéon Métro di Parigi, Danton è universalmente considerato come uno dei “giganti della Rivoluzione Francese”, uno status che in gran parte si basa sul ruolo centrale che ha giocato nel radunare la resistenza francese agli invasori prussiani che, nel settembre 1792, sembravano essere sul punto di schiacciare la Rivoluzione. In effetti, come figura che richiama associazioni al fervore patriottico che ha accompagnato la Rivoluzione e ai suoi sforzi per forgiare un nuovo senso di unità nazionale, Danton può essere visto come un degno candidato per tale immortalizzazione. Come politico rivoluzionario, tuttavia, l’approccio di Danton alla politica era stranamente antitetico a quello che si potrebbe pensare come lo “spirito della Rivoluzione”. Perché in contrasto con l’insistenza di qualsiasi numero di storici che la forza motrice fondamentale della Rivoluzione francese era un tentativo di rifare il mondo secondo un preconcetto progetto ideologico, Danton, a differenza della sua nemesi Robespierre, ha lasciato il segno nella storia più come un operatore politico che come un visionario ideologico, più come un politico democratico che lavora che come un’incarnazione di astratti valori democratici.

Attenendo per primo l’attenzione come leader del quartiere Cordeliers sulla riva sinistra di Parigi, l’affabile e gregario Danton dovette la sua precoce influenza politica alla costruzione di quella che era una macchina politica urbana molto efficace attraverso la quale i favori venivano dispensati e la lealtà assicurata da una fitta rete di amici e soci, alcuni dei quali (in particolare Camille Desmoulins e Philippe-Francois-Nazaire Fabre d’Eglantine) rimasero con lui fino al giorno in cui salirono insieme sul patibolo. Inoltre, dimostrando ulteriormente la sua comprensione intuitiva del modo in cui i politici democratici che lavorano tendono ad operare, Danton sviluppò rapidamente quella che lo storico Norman Hampson chiama “l’abitudine di conformarsi all’estremismo rivoluzionario in pubblico mentre persegue obiettivi limitati e realistici in privato” (p. 30). Così, pur continuando a impiegare una retorica radicale per sostenere la sua credibilità rivoluzionaria, anche mentre saliva nei corridoi del potere, il suo approccio all’arte di governare sembrava ruotare intorno a una propensione profondamente radicata ad accomodare e conciliare il più ampio spettro di opinioni politiche possibile.

Ma per quanto un tale approccio possa essere praticabile per un politico che cerca di governare in condizioni politiche normali, ci si chiede quanto realistico possa essere stato effettivamente nel calderone bollente che era la Rivoluzione Francese. In ogni caso, Danton non fu in grado di sostenere il delicato atto di bilanciamento attraverso il quale cercò di tenere a freno la Rivoluzione e contemporaneamente tentare di mantenere il sostegno dei “patrioti avanzati”. Più specificamente, per quanto riguarda il tentativo di rassicurare gli elementi moderati e conservatori, i suoi tentativi di raggiungere un accordo negoziato con i prussiani e gli austriaci invasori finirono in un fallimento e i suoi schemi per salvare Luigi XVI (1754-1793) e Maria Antonietta (1755-1793) non portarono a nulla. Allo stesso tempo, per quanto feroce potesse essere il suo tono nella sua leggendaria oratoria, era sempre soggetto ad essere “superato” dalle nuove ondate di militanza rivoluzionaria che emergevano continuamente nei quartieri della capitale. Come una serie di altre aspiranti guide della Rivoluzione (Jacques Necker, Marie Joseph Paul Lafayette

, comte de Mirabeau, Antione-Pierre-Joseph-Marie Barnave, e Jacques-Pierre Brissot de Warville) le cui credenziali rivoluzionarie furono ridotte in polvere dai loro sforzi per costruire una sorta di ampia coalizione di governo, anche Danton trovò che non poteva “cavalcare la tigre rivoluzionaria”. In effetti, si può dire che la fase dantonista della Rivoluzione Francese si concluse il 10 luglio 1793, quando la Convenzione, rendendo quello che equivaleva a un voto parlamentare di sfiducia, lo rimosse dal Comitato di Pubblica Sicurezza; un nuovo governo fu messo in atto due settimane dopo quando Robespierre fu aggiunto al Comitato.

Apparentemente soggetto per tutti gli anni della Rivoluzione a gravi sbalzi d’umore, che oggi potrebbero essere diagnosticati come una forma di disturbo bipolare, Danton si ritirò ampiamente dalla vita politica nei mesi successivi a questa riorganizzazione del Comitato di Pubblica Sicurezza. Adducendo una malattia, all’inizio di ottobre 1793 ricevette il permesso dalla Convenzione di ritirarsi nella sua città natale di Arcis-sur-Aube nella Champagne. A metà novembre, tuttavia, tornò nella mischia e, pur operando in gran parte dietro le quinte, sembra essere stato profondamente coinvolto nelle manovre per rovesciare il Comitato Robespierriano. In ogni caso, qualunque sia il ruolo effettivo che lui e i suoi compagni Indulgenti possono aver giocato nel tentativo, attraverso la loro campagna contro il Terrore, di minare il dominio del Comitato, è chiaro che il Comitato considerava Danton, come minimo, una seria minaccia potenziale al suo continuo dominio. Nell’atmosfera letale del 1793-1794, non c’era, infatti, spazio per un’opposizione legittima; nessuna via di mezzo, cioè, tra il fornire un sostegno incrollabile al governo ed essere visti come cospiratori contro di esso.

Temperamentalmente incline al compromesso e alla flessibilità e anche piuttosto accomodante quando si trattava di standard di probità personale (detto senza mezzi termini, apparentemente non era affatto contrario a farsi ungere i palmi delle mani), l’amante del piacere Danton è servito per generazioni in molte storie marxiste e giacobine della Rivoluzione Francese come un fioretto corrotto all’austero e ideologicamente puro Robespierre. Nel tardo ventesimo secolo, con l’avvento del “neo-liberalismo” globale nel mondo post-Guerra Fredda, la stessa costellazione di tratti gli è valsa la lode per personificare un’eroica resistenza al presunto proto-totalitarismo robespierriano. Tuttavia, per quanto possa essere valido pensare a Danton come, in termini astratti, un’incarnazione corrotta o eroica dell'”anti-Robespierrismo” o dell'”anti-Giacobinismo”, si dovrebbe anche ricordare che Danton e Robespierre lavorarono in tandem durante i primi anni della Rivoluzione e che Danton giocò un ruolo significativo nello stabilire le istituzioni giacobine contro cui si sarebbe poi ribellato. In particolare, si dovrebbe notare che, nei suoi sforzi per placare il movimento popolare parigino (“lasciateci”, disse, “essere terribili per dispensare il popolo dal bisogno di essere terribile esso stesso”), fu Danton che guidò la Convenzione nella creazione del famigerato Tribunale Rivoluzionario il 10 marzo 1793.

Con questo in mente, potrebbe essere utile guardare più da vicino un momento particolarmente cruciale nella breve vita di Danton: la sua decisione di tornare nella mischia politica nel novembre 1793. Sicuramente questo astuto giocatore politico sapeva che si sarebbe messo in pericolo, che avrebbe avuto molte più possibilità di evitare di essere inghiottito dalla dinamica della repressione rivoluzionaria che aveva già superato i monarchici costituzionali e i Girondini se fosse rimasto tranquillamente nella Champagne. Come una sorta di avventuriero e giocatore d’azzardo, Danton potrebbe aver avuto un’idea esagerata della propria capacità di influenzare gli eventi e potrebbe anche aver pensato di avere una possibilità decente di riconquistare il potere. O può essere che fosse parzialmente spinto da un forte senso di lealtà verso amici e soci ancora politicamente attivi a Parigi. Ci si chiede, comunque, se un certo senso di responsabilità e/o di colpa per il proprio ruolo nell’alimentare le dinamiche della repressione possa aver avuto qualcosa a che fare con la sua decisione di tornare: se, cioè, la sua partecipazione alla campagna per l’indulgenza fosse almeno in qualche misura motivata dal desiderio di annullare alcuni dei danni che lui stesso aveva fatto. In ogni caso, qualunque siano i fattori che possono averlo portato a questa scelta, il ritorno a Parigi fu un ritorno a quello che Danton sapeva essere un gioco politico mortale, un gioco dal quale non ci sarebbero state ulteriori opportunità di fuga.

Vedi ancheComitato di Pubblica Sicurezza; Rivoluzione Francese; Girondini; Giacobini; Regno del Terrore.

bibliografia

Fonti primarie

Danton, Georges-Jacques. Discorsi di Danton. A cura di André Fribourg. Parigi, 1910.

Fonti secondarie

Hampson, Norman. Danton. New York, 1978.

Howell, Michael W. “Danton e la Prima Repubblica”. Tesi di dottorato, Università del North Carolina, 1982.

Mathiez, Albert. Autour de Danton. Parigi, 1926.

Mirkine-Guetzévitch, Boris. “Il parlamentarismo sotto la Convenzione nazionale”. Revue du droit public et de la science politique en France et à l’étranger (1935): 671-700.

Ozouf, Mona. “Danton.” In A Critical Dictionary of the French Revolution, a cura di François Furet e Mona Ozouf, tradotto da Arthur Goldhammer, 213-223. Cambridge, Mass. 1989.

Barry M. Shapiro

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