An introduction to one of Dickinson’s finest poems by Dr Oliver Tearle

Solo Emily Dickinson poteva aprire una poesia con un verso come ‘Hope’ is the thing with feathers’. I poeti prima di lei avevano paragonato la speranza a un uccello, ma “la cosa con le piume” era un tocco tipicamente dickinsoniano. Ecco questa piccola grande poesia della Dickinson, insieme ad una breve analisi di essa.

La “speranza” è la cosa con le piume –
che si appollaia nell’anima –
e canta la melodia senza le parole –
e non si ferma mai –

e più dolce – nel vento – si sente –
E dolorosa deve essere la tempesta –
Che potrebbe abbattere l’uccellino
Che ha tenuto tanti al caldo –

L’ho sentito nella terra più fredda –
E sul mare più strano –
Ma – mai – in Estrema,
Ha chiesto una briciola – di me.

”Hope’ is the thing with feathers’: summary

In sintesi, quindi: come in molte delle sue poesie, Emily Dickinson prende un sentimento o un’idea astratta – in questo caso, la speranza – e la paragona a qualcosa di fisico, visibile e tangibile – qui, un uccello che canta. La speranza, per la Dickinson, canta la sua melodia senza parole e non smette mai di cantarla: niente può turbarla.

In altre parole (per così dire), la speranza non comunica “parlando” a noi in senso convenzionale: è un sentimento che proviamo, non sempre razionale, che ci rallegra anche in tempi bui di disperazione. In effetti, la speranza è più dolce di tutte quando la ‘Gale’ è impegnata a infuriare: in tempi turbolenti o travagliati, la speranza è lì per noi.

E la speranza può resistere praticamente a tutto: anche in tempi di freddo comfort (‘la terra più fredda’) o in climi stranieri o sconosciuti (‘sul mare più strano’), la speranza rimane. E la speranza non chiede mai nulla da noi in cambio. Fornisce conforto e consolazione, ma non richiede nulla in cambio.

”Hope’ is the thing with feathers’: analisi

Nota l’uso ingegnoso della Dickinson della parola ‘parole’ nella prima strofa, che, arrivando alla fine del terzo verso, guarda indietro al primo verso per una rima ma invece di trovare ‘bird(s)’ trova, invece, ‘thing with feathers’:

‘Hope’ è la cosa con le piume –
Che si appollaia nell’anima –
E canta la melodia senza le parole –
E non si ferma mai – a tutti –

‘Bird’ sarà rimandato alla seconda strofa, perché Dickinson sembra voler rifiutare ogni glibesca similitudine di ‘hope = singing bird’:

And sweetest – in the Gale – is heard –
And sore must be the storm –
That could abash the little Bird
That kept so many warm –

The analogy must instead unfold and develop gradually. Non c’è nessun “My heart is like a singing bird” (per prendere in prestito dalla contemporanea della Dickinson, Christina Rossetti) qui.

Nella sua analisi di “”Hope” is the thing with feathers” nel suo libro Dickinson, che contiene una serie di letture affascinanti e convincenti di singole poesie di Emily Dickinson, la critica Helen Vendler ci invita a riflettere sul significato della parola “thing”. Secondo l’Emily Dickinson Lexicon (scrive Vendler), la Dickinson usa la parola 115 volte diverse nella sua opera, con sette diversi significati.

È sempre affascinante studiare l’impronta linguistica di un poeta, e analizzare il tipo di parole (e formazioni di parole) che ama usare nella sua opera. Questi dettagli contribuiscono a rendere il loro lavoro quello che è e a fornire la sua distintività. Come osserva Vendler, “cosa” rappresenta la “singola più grande categoria mentale” della Dickinson, poiché comprende tutto, dagli atti alle creature ai concetti e alle occasioni. È come se iniziasse ogni indagine generale”, nota Vendler, “con la domanda generale: “Che tipo di cosa è questa?” e poi la categorizzasse più minuziosamente”.

Ma c’è qualcosa di controintuitivo nel fatto che una poetessa, la cui opera è definita dalla sua peculiare e talvolta idiosincratica attenzione al dettaglio – descrivendo la neve che cade dalle nuvole come se fosse setacciata da setacci di piombo, per esempio, o la sua osservazione meravigliosamente acuta di un gatto che caccia un uccello – faccia un uso così ampio e vario di ‘cosa’, una parola che è, per prendere in prestito l’aggettivo di Vendler, ‘senza sangue’. Possiamo immaginare un’aquila o un pappagallo o un corvo, ma una ‘cosa con le piume’? Nessuna possibilità.

Quella della Dickinson non è affatto l’unica poesia degna di nota sulla speranza. Potremmo anche menzionare una poesia della sua omonima, Emily Brontë (1818-48). Come la Dickinson, la Brontë inizia la sua poesia cercando di definire la speranza:

La speranza non era che una timida amica;
Si sedeva senza la tana grattugiata,
osservando come il mio destino tendesse,
anche come gli uomini dal cuore egoista.

Era crudele nella sua paura;
attraverso le sbarre un giorno uggioso,
mi affacciai per vederla lì,
e lei girò la faccia altrove!

Quella di Bronte è molto più una poesia narrativa con sfumature simboliche (l’abbiamo analizzata qui), mentre quella della Dickinson è lirica, incentrata sulla metafora centrale. Ed è una metafora diretta piuttosto che una similitudine: La “speranza” è la cosa con le piume”. Ma potremmo anche notare quelle virgolette: Dickinson non sta parlando di speranza ma di ‘speranza’, l’idea di speranza, il modo in cui ne parliamo piuttosto che la realtà. Già ci siamo lasciati alle spalle le realtà concrete del mondo in favore di idee astratte (o ideali).

”Hope’ is the thing with feathers’ è scritto in versi di tetrametro giambico e trimetro alternati, cioè ci sono tre quattro iambri nei versi dispari e tre iambri nei versi pari. (Un giambo è un piede metrico che comprende una sillaba non accentuata seguita da una accentuata, come nella parola ‘perché’: ‘be-CAUSE’). Così, nella strofa centrale, otteniamo:

And SWEET- / est – IN / the GALE / – is HEARD –
And SORE / must BE / the STORM –
That COULD / a-BASH / the LIT- / tle BIRD
That KEPT / so MAN- / y WARM –

A questa analisi del metro della poesia, vale la pena di richiamare l’attenzione sulla sostituzione trocaica di apertura, che annuncia “Hope” nel primo verso della poesia, come la sua prima parola: “HOPE” è”, non “Hope” è”.

Il poema è scritto in quartine a rima abcb, anche se dobbiamo notare che ‘anima’ e ‘tutto’ nella prima strofa non sono veramente rime ma piuttosto pararime: ‘fuori rima’, se vogliamo. Allo stesso modo, nella strofa centrale, la rima segue lo schema abab, mentre la strofa finale è davvero rimata abbb, poiché ‘Estremità’ rinvia sia a ‘Mare’ che a ‘me’. Questo mette insieme le cose: non solo le tre righe finali, ma anche l’allineamento di queste varie idee con il sé dell’oratore, il suo senso di ‘me’.

Continua ad esplorare il lavoro della Dickinson con la nostra analisi della sua classica poesia ‘Ho sentito un ronzio di mosca – quando sono morta’, ‘Perché non potevo fermarmi per la morte’, e la nostra discussione della sua struggente poesia sulla verità e la bellezza. Potrebbero piacerti anche queste classiche poesie sugli uccelli. Continuate ad esplorare l’affascinante mondo della poesia della Dickinson con i suoi Complete Poems.

L’autore di questo articolo, Dr Oliver Tearle, è un critico letterario e docente di inglese alla Loughborough University. È autore, tra l’altro, di The Secret Library: A Book-Lovers’ Journey Through Curiosities of History e The Great War, The Waste Land and the Modernist Long Poem.

Immagine: Fotografia in bianco e nero di Emily Dickinson di William C. North (1846/7), Wikimedia Commons.

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